L'Impresa
una magica giornata con 4 vette conquistate
E’ ancora notte quando percorro la Flaminia che mi separa dalle montagne ancora invisibili, avvolte nelle tenebre, sebbene io sappia benissimo dove si trovino.. Mentre la strada scorre non posso che pensare all’escursione che mi attende, preparata e sognata oramai da un paio d’anni, sfuggente come una chimera, quasi al limite dell’impossibile.. Attraversare in un giorno solo tutta la zona dei massicci del Catria e del Nerone, partendo da Piobbico, raggiungendo la vetta del Nerone e passando quindi in sequenza per il Petrano fino a raggiungere il Monte Acuto e infine la vetta del Catria, per un totale di 43 chilometri e più di 4000 metri di dislivello, questo è quanto mi prefiggo di fare, e pur conoscendo molti dei sentieri che andrò ad attraversare, il pensiero di concatenarli tutti assieme in un’unica lunghissima traversata mi entusiasma e mi spaventa al tempo stesso….
Arrivo alla chiesa di Santa Maria in val d’Abisso quando la notte inizia appena a lasciar spazio alle prime luci dell’alba, ben prima del sorgere del sole. Sono le 4 e 48, la temperatura è fresca ma tutto sommato piacevole, so già che si preannuncia una bellissima giornata estiva e in seguito farà sicuramente molto caldo… Affronto i primi passi del sentiero immerso nel silenzio della natura ancora assopita, rotto soltanto dal rumore del lento scorrere del Fosso dell’Infernaccio che mi accompagnerà per gran parte della prima salita, e muovendomi tra l’erba bagnata dalla rugiada mi sento veramente in sintonia con ciò che mi circonda, e mi faccio coraggio sulle prime ripidissime rampe, sapendo ciò che mi aspetta ma essendo conscio della mia determinazione.
Supero la prima parte con un buon passo, la fatica ancora non si fa troppo sentire, e sono già ai piedi delle altissime pareti della Balza Forata quando il sorgere del sole mi sorprende proprio in quell’impervio e spettacolare luogo. Non posso che rimanere incantato e fermarmi, seppur un attimo, ad immortalare la scena, prima di proseguire alla volta della balza. Poco dopo scorgo un tenerissimo cucciolo di cerbiatto (lui non si è accorto della mia presenza), e mi soffermo a pensare alla bellezza del luogo e dei suoi abitanti per i quali io sono una presenza un po’ estranea, che passa rapidamente facendo di tutto per non essere di troppo disturbo…
Raggiungo il caratteristico “Foro della Madonna” attorno alle 6, anche qui la sosta dura un attimo, so di aver tenuto un buon ritmo ma mi rendo conto di avere veramente tanta strada da percorrere, e conosco comunque piuttosto bene la zona così da non rischiare di rimpiangere per gli anni a venire di esser passato troppo frettolosamente in luoghi tanto ameni…
Superata la balza la salita si fa se possibile ancor più ripida, fortunatamente è mattina presto e le forze non mi mancano, ma questo sentiero mette veramente alla prova il fisico, inerpicandosi con pendenze incredibili a fianco di rupi e grotte che costellano questo versante del Nerone. Sbuco in breve al Rifugio Corsini, passo sotto l’impianto di risalita mentre il primo sole mattutino inizia a riscaldarmi e in breve tempo riesco a conquistare la prima vetta, sono le 7 e 20 e mi stupisco di averci messo così poco tempo, sicuramente un bel viatico per il prosieguo della traversata.
La sosta in vetta dura pochi minuti, giusto il tempo di volgere lo sguardo verso il Catria e pensare a quanto tremendamente lontano esso sia visto da qui, di godermi un attimo l’aereo panorama a 360° e riparto, buttandomi a capofitto lungo il Sentiero Italia alla volta di Pieia. La discesa è piuttosto facile, ci sono soltanto un paio di passaggi un po’ ripidi sui quali fare attenzione, riesco a tenere veramente un buon passo e per giunta recupero anche il fiato speso in salita, cosicché quando arrivo in vista dell’abitato, che raggiungo alle 9 del mattino, inizio veramente a credere che questa sia la volta buona…
Effettuato un copioso rifornimento d’acqua nel grande fontanile mi dirigo verso l’arco di Fondarca, dove non posso esimermi dall’effettuare una serie di foto in un luogo che, già meraviglioso di suo, mi appare ancor più bello immerso nell’abbagliante luce del mattino. Il sentiero qui si dipana in un saliscendi piuttosto piacevole, toccando luoghi caratteristici come la bella cascatella di una quarantina di metri poco distante da Fondarca e numerosi impluvi di torrenti, in secca nella stagione estiva. Giungo a Cerreto e proseguo sulla strada asfaltata verso Pianello, trovandomi a rimpiangere il selvaggio versante dell’Infernaccio e chiedendomi perché abbiano fatto coincidere una parte di Sentiero Italia con la strada…
Il percorso è facile e scorrevole ma veramente tanto, tanto lungo, ed il raggiungere il fondovalle alle 10.45 inizia a farmi sospettare che il riuscire nell’impresa non sarà poi così agevole come potevo aver pensato mentre salivo il Nerone. La salitella che conduce a Moria mi offre già il “benvenuto” sul Petrano, una montagna spesso sottovalutata per via del suo ampio e confortevole pianoro sommitale, ma che nasconde non poche difficoltà a quote inferiori. Superato il paese ed un breve tratto di discesa che conduce ad un torrente, mi ritrovo messo a dura prova dalla violenta risalita che conduce, senza respiro, dai 450 metri di quota fin sulla vetta, a quota 1162. E’ una salita fatta di stretti tornanti all’interno del bosco sotto le pareti della Roccaccia, con continui rilanci di pendenza ad ogni svolta, che mi mette a dura prova avendo nelle gambe anche le scorie della prima salita, che ora iniziano a farsi sentire…
Quando esco dal bosco e giungo sui prati la giornata si è fatta, come previsto, molto calda ed il mio passo non ha nulla a che vedere con quello deciso e baldanzoso che potevo sfoggiare nel fresco del mattino. Raggiungo comunque la vetta alle 13.30, dove mi concedo una sosta più lunga per mangiare qualcosa, osservando quanto lontano sia il Nerone, conquistato oramai molte ore fa, e soprattutto volgendomi verso il Catria di quanto lontana sia la meta, ed iniziando a temere veramente di dover ancora una volta rinunciare al mio sogno.
Non perdendomi d’animo mi avvio comunque verso la discesa, che effettuo facendo un “fuori sentiero” sul versante sovrastante Pontedazzo, giacché passare per il disastrato sentiero 71 rischierebbe di farmi perdere tempo prezioso (avevo comunque visionato questo itinerario in precedenza e sapevo a grandi linee il percorso da fare). La discesa è ripidissima ma tutto sommato, visto anche il fondo erboso piuttosto piacevole, consente di recuperare un po’ delle energie spese in salita, così giungo a Pontedazzo ancora in tempo utile, sono passate da poco le 15 ed ho ancora circa 6 ore di luce a disposizione.
Appena inizio la salita del sentiero 75 verso il Tenetra capisco che gli oltre 2200 metri di dislivello che ho già nelle gambe rappresentano un macigno che mi condizionerà da qui in avanti, infatti le gambe sembrano non voler seguire gli impulsi inviati dal cervello, e la mia risalita si fa stanca e faticosa, nonostante io conosca questo tracciato e sappia che è si impegnativo, ma non certamente terribile come mi appare al momento (per capirsi, è molto meno ripido della salita iniziale al Nerone). FonteLaLama con le sue fresche acque mi consente l’ultimo rifornimento, so bene che da qui in avanti non troverò fonti e la mia bottiglia da 2 litri deve essere sufficiente fino alla fine e, dovendo attraversare un ambiente completamente scoperto e soleggiato, non sono così sicuro che questo avvenga.
Sbucato sui prati, in pieno ed ardente sole pomeridiano, le cose per me si fanno veramente complesse, e sono costretto ad un paio di fermate non desiderate (ma necessarie) in preda a crisi di stanchezza e probabilmente di disidratazione (sebbene io abbia ancora acqua a sufficienza, non mi riesce nemmeno di berla nonostante la sete, a causa della sensazione di nausea). In questo tratto mi ritrovo più volte a pensare ad un abbandono, anche perché non riesco a togliermi dalla testa il pensiero della fatica da compiere per la conquista del Monte Acuto, che si staglia via via sempre più vicino, da affrontarsi per la temuta “direttissima” del sentiero 58, una salita di 500 metri con pendenze notevoli che su di un fisico così provato potrebbe essere impossibile da percorrere…
Fortunatamente la salita verso il Tenetra finisce, il breve tratto di saliscendi mi fa recuperare un briciolo di forze e la determinazione mi viene in soccorso, così arrivato al rifugio Casetta Mochi, ai piedi della “terribile” salita, decido comunque di affrontarla. L’ascesa ha, come anticipato, pendenze impressionanti, la affronto con un ritmo decisamente basso puntando ad arrivare in vetta senza preoccuparmi più di tanto del tempo necessario a raggiungerla. Il sole sta lentamente scendendo verso l’orizzonte e questo non è un bel segnale dal punto di vista delle ore di luce rimanenti, tuttavia la cosa comporta anche un abbassamento della temperatura che mi consente di riprendere a camminare se non velocemente, almeno in maniera dignitosa. Quando raggiungo, dopo 1 ora abbondante di lenta e costante ascesa, l’agognata vetta contrassegnata da un cumulo di sassi sorreggenti un bastone di legno, sono oramai le 20.10 e la luce è quella tipica delle sere estive…
Mi fermo ancora una volta a guardare indietro, il Nerone appare lontanissimo, avvolto nelle prime foschie della sera, e veramente non so come io abbia fatto a giungere fin qui, ma dall’altra parte si staglia netto ed imperioso il Catria, oramai vicino ma con ancora uno sforzo non da poco per salirlo, e io ho completamente finito le energie…
Mentre affronto la discesa dall’Acuto decido che giunto fin qui vorrò comunque provare, non sia mai che io abbandoni ad un passo dal traguardo, e anche se si dovesse far notte vorrò comunque compiere l’ultima ascesa, essendomi anche munito di una torcia (quando si dice essere previdenti..) e conoscendo comunque molto bene il tratto finale che sale dal Rifugio Vernosa alla grande croce di vetta.
Superato l’Infilatoio sono oramai avvolto nella luce crepuscolare, riesco a mala pena a mettere in fila i passi e guardare la traccia davanti a me, mentre mi scorrono accanto la sagoma tenebrosa ed indistinta del rifugio e l'ultimo boschetto prima dell'erta conclusiva, ma so di essere troppo vicino all’obiettivo per lasciarmi andare, devo trovare le ultime forze…
La “squadra di recupero” (ero organizzato, avevo bisogno di qualcuno che mi riportasse alla macchina ed avevo dato appuntamento all’Infilatoio attorno alle 21.30) mi sorprende al telefono mentre sono ancora a metà dell’ultima salita verso la croce, approfitto della loro pazienza dicendogli che avrei tardato un po’ e che sono a poca distanza oramai dalla vetta…
Vero o “quasi vero” che sia, arrivo, praticamente a notte fonda, in vista della grande croce completamente avvolta nelle tenebre attorno alle 22, sembra quasi volermi chiamare per condividere la gioia del successo, e infine vi giungo, stremato ma con un senso di soddisfazione che non si può descrivere.. Mi fermo 5 minuti in vetta, avvolto in un completo silenzio sferzato solo dal sibilare del vento, guardando le luci dei paesi in lontananza ed una bellissima luna piena appena sorta (che sarà un’ottima compagna di discesa), so di aver fatto una pazzia di cui molti non capiranno il senso, ma anche se distrutto fisicamente sono estremamente soddisfatto e realizzato.
Al chiaror di luna ridiscendo il sentiero 56, distrutto nel corpo ma leggerissimo nello spirito, e con uno stanco ma lieve passo (sembra una contraddizione, ma non lo è) raggiungo i “soccorritori” mezz’ora più tardi, stanchissimo e in preda a crampi (di fatto fatico a salire in macchina) ma con ancora l’adrenalina in corpo e l'irrefrenabile voglia di raccontare quanto vissuto. A fine giornata l’altimetro segna un impressionante 4165 metri di dislivello accumulato, credo che difficilmente riuscirò mai a superare questa quota e forse è giusto così perchè certe cose sono in fondo belle nella loro irripetibilità ed avere ottenuto questo successo attraversando tutte assieme quelle che definisco "le mie montagne" rimarrà un preziosissimo ricordo da custodire nel tempo.